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Odissea (3) - Il ritorno a Itaca



Odissea

Dopo la vittoria greca a Troia, era tempo per Odisseo di tornare in patria, a Itaca.


Partì con dodici navi e un numeroso equipaggio, ma la flotta venne ben presto sorpresa da un forte vento che la costrinse ad attraccare sulle coste a sud della Tracia, terra dei Ciconi, rinomati alleati dei Troiani.


I Ciconi non persero tempo e attaccarono subito Odisseo e i suoi uomini, ma questi ebbero la meglio, e durante l'attacco risparmiarono solo Marone, un sacerdote di Apollo, che in cambio offrì loro dodici giare di un dolcissimo e prelibato vino.


La flotta greca ripartì, e dopo poco approdò nella terra dei Lotofagi, ossia mangiatori di loto. Qui Odisseo mandò alcuni uomini in avanscoperta, ma nessuno di loro fece ritorno. Andò quindi a cercarli in prima persona, e li trovò a mangiare loti con i Lotofagi, scoprendo che i frutti erano talmente buoni che facevano dimenticare a chiunque li mangiasse la via di casa. Odisseo legò a forza i suoi uomini e li trascinò alle navi, riprendendo il viaggio.


In cerca di cibo, Odisseo fece fermare le navi su un'isola in cui riteneva abitassero delle ninfe. Cercando ospitalità in un'isola vicina si ritrovò, assieme ad alcun suoi uomini, nella caverna di Polifemo, ciclope figlio di Poseidone.


Qui i suoi uomini gli suggerirono di rubare il formaggio e il latte trovato e andare via, ma Odisseo decise di aspettare il padrone di casa per ottenere i doni dell'ospitalità e non andare via come un ladro.


Al suo ritorno però, Polifemo non fu affatto contento di trovare degli intrusi, e dopo aver mangiato un paio di uomini si addormentò, imprigionando gli altri nella caverna di cui aveva sbarrato l'uscita con un enorme macigno.


Odisseo pensò quindi a come fuggire, e gli tornò in mente il vino di Marone. Il giorno dopo ne offrì una buona quantità al ciclope, che si ubriacò dopo poco e cadde in un sonno profondo. Nel frattempo chiese ai suoi uomini di intagliare un grosso pezzo di legno, fornendogli una punta ben affilata. Con questo bastone appuntito, e arroventato, accecò l'unico occhio del ciclope, che dormiva ancora beato.


La mattina dopo Polifemo fece uscire a pascolare le sue pecore, ma per evitare che qualcuno fuggissi, stese le mani in modo da tastare il vello delle pecore. Allora l'eroe e i suoi compagni si legarono sotto dei montoni, riuscendo così ad andare via dall'isola.


La tappa successiva fu presso l'isola di Eolo, un uomo che godeva del favore degli dèi e che governava i venti. Qui vennero accolti con tutta l'ospitalità del caso per un mese, e al momento di partire Odisseo ricevette in dono l'otre dei venti, nella quale aveva imprigionato tutti i venti contrari alla rotta per Itacam in cambio di una sola regola: nessuno avrebbe dovuto aprire l'otre.


Dopo dieci giorni di viaggio, con Itaca ormai in vista, gli uomini di Odisseo, incuriositi e invidiosi del dono ricevuto dal loro comandante, aprirono l'otre liberando così tutti i venti racchiusi e spingendo di nuovo le navi al largo.


Sette giorni dopo, la flotta raggiunse l'isola dei Lestrigoni, una tribù di giganti mangiatori di carne umana. Non appena i giganti videro le navi iniziarono a bersagliarle con enormi massi, e ne distrussero undici. L'unica che riuscì a fuggire fu quella sulla quale si trovava l'eroe.


La sola nave rimasta si rimise quindi in viaggio, e raggiunse l'isola di Eea, casa di Circe.

In fuga dall'isola dei Lestrigoni, Odisseo e i suoi uomini giunsero con l'unica nave rimasta intera a Eea, l'isola sulla quale dimorava Circe, dea figlia del titano Elios. Poco dopo l'attracco, quasi l'intero equipaggio, dopo essere stato ingannato con vino e formaggi incantati, venne trasformato dalla dea in maiali. Odisseo riuscì a sfuggire alla trasformazione, e grazie all'aiuto di Ermes che gli donò un antidoto, costrinse Circe a restituire sembianze umane al suo equipaggio.


Circe accettò, ma chiese in cambio che Odisseo rimanesse almeno un anno sulla sua isola, e che si unisse a lei in matrimonio.


Arrivato il momento di partire, Circe rivelò all'eroe che per tornare a Itaca avrebbe dovuto raggiungere il regno dei morti affinché gli spiriti gli dessero informazioni sul viaggio.


Odisseo fece come consigliato, e nel regno dei morti incontrò le figure dei compagni caduti in battaglia, la madre e l'indovino Tiresia, che gli rivelerà la causa di tutte le sue peripezie: Poseidone era infuriato con lui dal momento in cui Polifemo era stato accecato.


Odisseo tornò quindi da Circe che gli consigliò la rotta da seguire, e gli diede indicazione su come comportarsi coi pericoli che di lì a poco avrebbe incontrato sul suo cammino.


Il primo pericolo incrociato fu quello delle pericolose sirene ammaliatrici. Seguendo il consiglio di Circe, Odisseo fece tappare le orecchie ai compagni, mentre lui si fece legare all'albero maestro per udire il loro canto e resistere alla tentazione.


Superato lo scoglio delle sirene, la nave si diresse verso lo stretto di Messina, zona nella quale dimoravano i temibili mostri Scilla e Cariddi.


Il passaggio nello stretto venne pagato a caro prezzo. Scilla infatti mangiò sei volte sei uomini dell'equipaggio, mentre Cariddi risucchiava costantemente le acque limitrofe. Dopo aver sconfitto i mostri la nave approdò sull'isola di Trinacria, e appena a terra, Odisseo rivelò loro l'indicazione avuta da Circe: non avrebbero dovuto per nessun motivo banchettare con le mucche del dio Elio. In sua assenza però gli uomini mangiarono gli animali, ed Elio punì Odisseo con nove giorni di terribili tempeste.


La nave scampò finalmente alla tempesta rifugiandosi sull'isola di Ogigia.


Qui Odisseo incontra Calipso, una ninfa bellissima, che si innamora perdutamente di lui e lo costringe a restare per ben sette anni sulla sua isola.


Solo l'intervento di Ermes libererà Odisseo dalla prigionia e farà ripartire l'eroe per il suo viaggio.


Odisseo era ormai praticamente a Itaca, quando Poseidone ci mise di nuovo lo zampino, allontanandolo dalla terra natia. Stavolta fu la dea marina Ino ad aiutare l'eroe facendolo approdare presso la sconosciuta terra dei Feaci. Ancora una volta naufrago, Odisseo venne aiutato da Nausicaa, figlia di re Alcinoo, e le chiese dei vestiti e la strada per il palazzo reale. Una volta al cospetto del re, Odisseo raccontò l'intera sua vicenda, e il sovrano mosso a compassione gli mise una nave a disposizione per tornare a casa.


Dopo dieci lunghissimi anni di viaggio, Odisseo era finalmente approdato a Itaca.


Appena arrivato, con l'aiuto di Atena, si fece ospitare dal suo fedele servo Eumeo indossando vesti da mendicante.


Dopo aver rivelato la sua vera identità a Eumeo e Telemaco, Odisseo si recò alla reggia ancora in sembianze da mendicante. Qui, schernito dai pretendenti (i Proci), Odisseo partecipa alla gara di arco organizzata da Penelope, che aveva promesso di consegnarsi in sposa a colui che sarebbe riuscito a scoccare una freccia dall'arco del marito facendola passare per le fessure di dodici scuri allineate. Nessuno dei pretendenti riuscì anche solo a tendere l'arco, e così Odisseo chiese di poter fare un tentativo. Sotto gli occhi torvi dei Proci, Odisseo riesce perfettamente nell'impresa di tendere l'arco e scoccare. A questo punto, compie la sua vendetta che aveva preparato con Eumeo, Filezio e il figlio, togliendo tutte le armi ai Proci per poi ucciderli. Euriclea andò a chiamare Penelope per dirle che Odisseo non era morto; quando lei lo vide non disse niente, non si convinceva che fosse suo marito, perciò venne rimproverata da Telemaco e si decise a sottoporlo alla prova del talamo nuziale, chiedendogli di spostarlo. Lui, avendolo intagliato in un ulivo ancora in vita, spiegò che non poteva essere spostato dalla stanza in cui era custodito: Penelope riconobbe il marito e lo strinse forte piangendo.



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