La maledizione della Gaiola
- Grazia Manfellotto
- 3 giorni fa
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La Gaiola è un’isola minore situata nel Golfo di Napoli, di fronte alla costa di Posillipo e all’interno dell’omonimo parco sommerso. Già da una prima occhiata è possibile notare la sua struttura tanto peculiare: essa è infatti costituita da due piccoli isolotti, collocati a pochi metri di distanza l’uno dall’altro e uniti tra loro da un ponte. I due scogli sono pressappoco identici, e mentre uno è sempre stato disabitato, sull’altro è possibile vedere una suggestiva villa di cui vi parlerò più avanti. Si ipotizza che inizialmente la Gaiola non fosse un’isola a sé stante, ma un naturale prolungamento del promontorio circostante, di quella zona chiamata Posillipo per la sua bellezza mozzafiato, visto che “Pausilypon” significa proprio “che fa cessare il dolore”. Lucullo, innamorato della zona, chiese che la Gaiola venisse separata artificialmente dal resto del territorio, così da poter godere ancora di più di tanta meraviglia.
Per quanto riguarda il suo nome, esso non è sempre stato quello attuale. In origine l’isola era infatti nota come Euplea, probabilmente per la presenza di un tempio dedicato all’omonima Venere, protettrice dei naviganti. Riguardo la denominazione odierna invece vi sono diverse scuole di pensiero: c’è chi attribuisce il termine “Gaiola” alla “caiola”, parola usata in napoletano per indicare una gabbia per uccelli. C’è chi fa derivare “Gaiola” dal latino “cavea”, quindi descrivendo l’isolotto come una piccola grotta, e infine, chi fa risalire la parola non a un nome proprio, bensì a un nome comune del periodo medioevale. In quest’ultimo caso, Gaiola avrebbe origine da galiola, uno speciale tipo di imbarcazione particolarmente piatta rispetto alle galee più grandi. Si pensa che l’isola in questione presentasse lo stesso tipo di aspetto, quindi una struttura rocciosa più bassa e piatta che gli ha permesso di prendere lo stesso nome.
Nonostante l’aspetto idilliaco e le acque cristalline, sulla Gaiola pendono numerose storie nefaste, che per molti anni hanno fatto guadagnare al luogo la fama di jellata. Pare infatti che chiunque abbia provato ad abitare sull’isola sia stato colpito da sfortune varie, anche piuttosto importanti. Cominciamo quindi ad entrare nel vivo delle leggende che la caratterizzano.
La prima storia misteriosa della Gaiola risale ai tempi degli antichi romani, quando sull’isola vi viveva un uomo chiamato Publio Vedio Pollione. Non si sa molto della sua vita, ma una narrazione che aleggia sul suo conto parla di uno strano amore per le murene, che allevava in alcune vasche scavate nel tufo e alimentava dando loro in pasto dei poveri schiavi. Inoltre, accanto all’isola della Gaiola vi era un altro edificio dell’epoca romana, la Scuola di Virgilio: il poeta, considerato anche un potente mago durante il Medioevo, pare che proprio in questa magione insegnasse arti magiche e sperimentasse incantesimi e pozioni. Secondo una delle leggende, furono proprio i numerosi elisir a inquinare le acque circostanti l’isolotto, dando loro la fama sventurata dei secoli successivi. Con la morte di Pollione e la successiva decadenza dell’impero romano, la splendida villa un tempo abitazione dell’uomo restò abbandonata per secoli, e anche le storie sul conto della Gaiola si fermarono per un certo periodo, fino ad arrivare al XIX secolo.
Risale infatti agli inizi dell’Ottocento un’altra leggenda riguardante l’isola: pare che sulla Gaiola vi vivesse una strana figura, un misterioso eremita chiamato Lo Stregone, che viveva dell’elemosina dei pescatori. Ufficialmente, a quei tempi il luogo era proprietà dell’archeologo Guglielmo Bechi, che aveva acquistato l’isola assieme a parte del promontorio. Alcune versioni dicono che lo studioso, in seguito a una campagna di scavi, riportò alla luce l’antica dimora di Pollione, ristrutturandola e dandole il nome di Villa Bechi. Quest’ultima fu poi venduta a Luigi De Negri, un ricco uomo d’affari che scelse la costruzione come sede della sua società. Secondo altre narrazioni invece Bechi vendette l’intera isola a Luigi De Negri, e fu quest’ultimo a erigere la maestosa villa che ancora oggi è possibile ammirare sulla Gaiola. Indipendentemente dalla versione scelta, ciò che conferma la fama maledetta del posto è l’esito: in poco tempo infatti la società del De Negri fallì, e l’uomo fu costretto a vendere la villa e ad abbandonare l’isola. I successivi cambi di proprietà causarono purtroppo danni inestimabili al territorio, in quanto l’intera zona cominciò a essere sfruttata per ricavarne pozzolana.
Arriviamo ai primi anni del ‘900, quando la villa divenne di proprietà del senatore Giuseppe Paratore. Un giorno, riordinando l’abitazione, un nipote del politico scoprì su una delle pareti un affresco raffigurante una spaventosa Gorgone. Il senatore, pensando che il volto dall’espressione terrificante portasse sfortuna, decise di farlo murare dietro una parete di mattoni. L’affresco in questione, studiato sulla base di una foto fatta prima che venisse nascosto, è stato classificato come appartenente a un periodo che va tra il II e il III secolo d.C., e si crede che fosse stato usato come una sorta di protezione dai nemici, nello stesso modo in cui i Greci erano soliti raffigurare la Medusa. Il suo occultamento avrebbe fatto perdere all’affresco la sua funzione protettiva causando le numerose sfortune successive, e in effetti le sciagure avvenute durante i decenni successivi vanno a comporre una lunga lista. Il senatore Paratore si dice che riuscì a sottrarsi agli eventi nefasti perché scelse di abitare sulla costa del luogo e non direttamente sull’isola, ma negli anni ebbe modo di assistere a numerosi naufragi avvenuti all’interno della baia.
Negli anni ’20 del XX secolo la Gaiola per qualche tempo fu collegata alla terraferma da una seggiovia piuttosto semplice, che poteva trasportare un solo passeggero per volta. La villa, intanto, era divenuta proprietà di Hans Braun, imprenditore tedesco che la acquistò insieme al suo connazionale Otto Brumbach, di professione medico. Furono loro, purtroppo, a diventare i protagonisti di un terribile fatto di cronaca avvenuto nel ’26: la sera del 19 novembre un terribile maltempo imperversava sulla città di Napoli. Nonostante il temporale, Brumbach e la sua giovane compagna, Hélène von Parish, decisero ugualmente di usare la periferica per arrivare alla Gaiola. Brumbach fu il primo, e riuscì ad arrivare sull’isola senza problemi. Quando arrivò il momento della von Parish, a causa del tempo avverso il cavo della seggiovia si spezzò, facendo precipitare la giovane donna in acqua sotto gli occhi del compagno, che inerme potette solo assistere al tremendo avvenimento. Il giorno dopo il corpo senza vita della donna fu ritrovato nella zona di Santa Lucia, ma il medico si era già suicidato per il forte dolore. La sua salma fu ritrovata nel salone dell’infausta villa, in un modo che ancora oggi spinge a porsi degli interrogativi senza risposta. Brumbach presentava infatti un foro nel cranio e una pistola stretta nella mano destra, ma il suo corpo fu ritrovato avvolto in un tappeto. Le circostanze suscitarono non pochi dubbi sull’ipotesi del suicidio, ma nessun’altra versione dei fatti sembrò plausibile. Ad aggiungere inquietudine sull’intera vicenda, a distanza di pochi mesi anche Hans Braun, co-proprietario del medico tedesco, fu ritrovato suicida in Germania. Ancora oggi alcuni abitanti dicono di sentire, nelle notti di tempesta, i lamenti del fantasma della povera Hélène.
Altre vittime della Gaiola pare furono i coniugi Brown: il nobile Brown si innamorò improvvisamente e follemente di sua cognata, chiedendo la separazione da sua moglie. Quest’ultima, in seguito a una violenta litigata, decise anch’ella di prendere la seggiovia per fuggire dall’isola, ma sfortunatamente incappò nella medesima sorte di Hélène von Parish, e poco tempo dopo, la stessa tragedia tocco al marito e al loro amatissimo gatto. Tutt’oggi, stando ad alcuni racconti, i loro spiriti possono essere incontrati all’interno della villa.
In seguito toccò al miliardario svizzero Sandoz, proprietario della omonima casa farmaceutica: dopo essere stato inquilino della villa fu colpito improvvisamente da una terribile depressione. Tale crisi fu talmente acuta da convincerlo di essere sull’orlo della povertà, spingendolo a vendere la dimora nel ’55 e a ricoverarsi in una clinica privata nella speranza di salvarsi, ma invano: morì infatti suicida tre anni dopo.
Dopo Sandoz fu il turno di Paul Karl Langheim, un barone tedesco che tra gli anni ’55 e ’65 organizzò eventi mondani e feste sfarzose, dilapidando così tutto il suo patrimonio, che si aggirava intorno ai trenta miliardi. Finendo in bancarotta, fu costretto a vendere la villa e a vivere in un albergo della provincia, dove morì solo e dimenticato da tutti nel 1980.
Fu Giovanni Agnelli a subentrare al barone; costui, dopo la perdita di numerosi membri della sua famiglia e venuto a conoscenza della nomea catastrofica della Gaiola, rivendette quasi subito la villa al magnate americano Paul Getty, che la rilevò nel ’68. Qualche anno dopo suo figlio fu rapito dalla ‘ndrangheta: il ragazzo subì l’amputazione di un orecchio, e fu restituito alla famiglia solo in seguito al pagamento di un ingente riscatto.
Nel 1978 il luogo passò a Gianpasquale Grappone, ricco uomo di affari napoletano. Poco dopo aver acquistato la villa assistette al fallimento della sua società di assicurazioni, la Loyd Centauro. Fu travolto dai debiti e colpito da un ulteriore evento tragico: sua moglie morì in un incidente stradale, pare proprio nello stesso giorno in cui la villa fu messa in vendita.
Dinanzi a così tante storie due strade possono essere intraprese: gli scettici penseranno a una serie di sfortunati eventi, i più suggestionabili credono piuttosto che tali tragedie siano avvenute perché l’essere umano, nei secoli, ha osato “profanare” quello che originariamente era considerato un luogo sacro e protetto dalle divinità classiche.
Attualmente la zona sembra aver perso la sua fama lugubre, conservandone solo la meraviglia: la villa della Gaiola è di proprietà della Regione Campania, e l’isola fa parte, come dicevo all’inizio, dell’omonimo parco sommerso. Quest’ultimo è stato dichiarato area marina protetta sia dal Ministero dell’Ambiente che dei Beni Culturali grazie alla notevole ricchezza biologica e archeologica che tuttora ospita, e la sua estensione va dal Borgo di Marechiaro alla Baia di Trentaremi. L’accesso è gratuito e consentito mediante registrazione all’ingresso o prenotazione online, e vale assolutamente la pena di una visita per la bellezza che è in grado di offrire.
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