La leggenda di Punta Campanella
- Grazia Manfellotto
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 2 min

Il luogo in questione è forse uno dei più panoramici della Campania, un promontorio situato tra la costiera sorrentina e la costiera amalfitana che divide il golfo di Napoli da quello di Salerno, divenuto un’area marina protetta nel 1997. Punta Campanella, o Punta della Campanella, ha una storia talmente antica da perdersi nel mito: oltre ad essere citata da Boccaccio nel suo Decamerone, pare abbia visto addirittura il passaggio di Ulisse e di Giulio Cesare. All’eroe ellenico i racconti mitici attribuiscono anche la fondazione di un tempio dedicato alla dea Atena, costruito in realtà dai Greci, che avevano dato a questa zona proprio il nome di promontorio Ateneo. In epoca romana il posto divenne dedicato al culto della dea Minerva: la penisola divenne dunque “Minervae promontorium”, e nonostante le fonti letterarie attestino l’esistenza del tempio in passato, ad oggi non ne restano tracce.
Attualmente, e probabilmente poco distante da dove una volta sorgeva il tempio menzionato poc’anzi, è possibile ammirare la torre Minerva, che fu fatta costruire da Roberto d'Angiò nel 1334 (e rifatta poi nel 1566) sull’estremità del promontorio, così da avvistare l’avvicinarsi di navi pirata e poterne dare l’avviso. Pare che proprio nella torre fosse collocata una campana che veniva suonata per comunicare la presenza di flotte nemiche, e questo avrebbe anche dato il nome, nei secoli, al luogo di oggi.
Vi è anche un altro racconto, più articolato e risalente al Medioevo, rispetto all’origine del nome. Già nell’antichità infatti, il promontorio era considerato sede delle sirene, donando un’aura di fascino e suggestione alla zona. A tale magnetismo si aggiunge proprio questa leggenda ambientata nell’epoca della dominazione spagnola: essa racconta di una notte durante la quale una flotta di pirati riuscì ad attaccare l’intera penisola, arrivando fino alla città di Sorrento. Le ore che si susseguirono fecero da sfondo a uno dei più grandi saccheggi mai avvenuti, in cui vennero depredate le abitazioni private dei cittadini e persino le chiese: tra i numerosi oggetti che componevano la refurtiva c’era infatti anche la campana della chiesa di S. Antonino, Santo patrono di Sorrento. Dopo la razzia, le imbarcazioni si allontanarono dalla costa per prendere il largo e fuggire, lasciando gli abitanti nello sconforto totale.
Tuttavia, nei pressi di Punta Campanella, la barca che trasportava la campana della chiesa non riusciva ad avanzare, quasi come se fosse bloccata da forze invisibili e misteriose. Credendo che il motivo fosse il bottino troppo pesante, i ladri decisero di disfarsene, cominciando a gettare gran parte della refurtiva in acqua, ma solo quando gettarono via la campana di bronzo di Sant’Antonino riuscirono a continuare il loro viaggio. Pare infatti che non appena l’oggetto toccò le onde, si levò un vento improvviso e fortissimo, che permise all’imbarcazione di raggiungere il resto della flotta e fuggire.
Un’altra versione parla invece di una violenta tempesta, che affondò le imbarcazioni impedendo la disfatta totale della penisola. A prescindere da quale narrazione si scelga, le due storie hanno in comune la conclusione: pare infatti che ancora oggi, nel giorno in cui si festeggia il Santo patrono, ossia il 14 febbraio, sia possibile udire i rintocchi della campana dal fondo del mare, donando così al promontorio il nome di… Punta Campanella!
Comments