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Il Monastero di Sant'Arcangelo a Baiano


Sant'Arcangelo a Baiano

Il Monastero (e l’omonima chiesa) sono situati, o sarebbe meglio dire incastonati, tra i tanti edifici del Centro Storico, precisamente nel cuore di Forcella, e conservano un insieme di storia, arte, segreti e leggende, che cercherò di raccontarvi al meglio.


Partiamo da alcune informazioni di carattere storico: l’intero complesso si crede abbia origini antichissime, risalenti addirittura al VI secolo. La sua fondazione, dedicata ai Santi Arcangelo e Pietro, pare si debba a una comunità di monaci basiliani, che eressero la struttura sui resti di un antico tempio pagano dove venivano svolti antichi riti propiziatori. Inoltre, nello stesso punto il suolo era solcato da un corso d’acqua chiamato della “Fistola”, che pare esalasse vapori dai poteri afrodisiaci e donasse all’intero territorio addirittura presenze maligne. Secondo gli studiosi dell’esoterismo a Napoli, questo luogo ancora oggi emana forze oscure e magnetiche. Tali dettagli sono importanti per capire la fama acquisita nei secoli dal posto in questione, e quanto tali elementi siano stati usati per “giustificare” gli atti efferati che hanno caratterizzato il monastero e di cui a breve vi parlerò.


Prima di ciò va detto che, per togliere definitivamente importanza a questi aspetti ed eliminare così ogni traccia di paganesimo, nel 593 la Chiesa decise di dedicare l’intera struttura al culto di San Michele Arcangelo, mentre l’annessa locuzione “a Baiano” è spiegata, secondo alcuni studi, dal riconoscimento all’importante famiglia omonima, i Bajani. Nel XIII secolo il Re Carlo d’Angiò commissionò il rifacimento dell’intero complesso, rendendolo di fatto la prima opera angioina di Napoli, e donando alle monache che intanto erano succedute ai basiliani le reliquie di San Giovanni Battista.


L’intervento degli Angioini rese il monastero un luogo esclusivo e riservato all’aristocrazia locale. Più specificamente, esso fu riservato a tutte quelle giovani donne che venivano costrette dalle proprie famiglie a prendere i voti, dedicandosi alla vita monacale. Stando alla tradizione, addirittura Maria d’Aquino, figlia illegittima di Roberto d’Angiò e in seguito Fiammetta di Boccaccio, si ritirò nel monastero. È importante evidenziare che tutte le ragazze che entravano in clausura non avevano potuto scegliere una vita diversa, né avevano scelto di prendere i voti perché mosse da una reale vocazione religiosa. Ciò ci permette di contestualizzare i fatti e fa comprendere meglio le origini e le motivazioni dietro la loro condotta immorale, che ha dato poi vita alle varie storie sul conto del monastero in questione. Non passò molto tempo, infatti, prima che tali giovani donne cominciassero a ribellarsi a tale imposizione e a vivere un’esistenza diversa dalle aspettative della loro condizione.


I primi racconti parlano di riti satanici, messe nere e sedute esoteriche allestiti al calar del sole, con l’aiuto del buio. Poco tempo dopo, tali eventi si trasformarono in qualcosa di ancora più sfrenato, divenendo delle vere e proprie orge organizzate dalle novizie in quelle che dovevano essere le loro celle di clausura e preghiera. Tra esse alcuni nomi in particolare vengono ricordati ancora oggi nelle storie e nelle leggende tramandate: Agata Arcamone, Giulia Caracciolo, Eufrasia d’Alessandro e Chiara Frezzi. A queste giovani suore, nel 1540 circa, vengono attribuiti gli eventi più significativi di questo luogo che ormai più che religioso si dimostrava essere di profonda perdizione. La Arcamone e la Caracciolo, insieme a una loro compagna di clausura, furono scoperte ad avere delle relazioni segreti con ricchi uomini del tempo. Il clima teso e di gelosia, causato dalla profonda infelicità e dall’isolamento forzato imposto alle giovani, fece nascere una fitta rete di pettegolezzi e vendette e portò le altre consorelle rimaste a diventare nemiche. Da qui ulteriori dettagli scandalosi sulla vicenda: la d’Alessandro e la Frezzi cominciarono a ipotizzare che le due novizie sopracitate fossero addirittura amanti, dando vita a una relazione doppiamente immorale. Non passò molto prima che la ripicca si impossessasse delle accusate: in particolare la Caracciolo decise di far uccidere gli amanti delle sue “nemiche”, dando vita a una scia di morti efferate e misteriose. Da lì infatti diverse badesse, succedutesi nel tentativo di riportare ordine tra le ragazze, furono ritrovate senza vita, mentre le morti di d’Alessandro e Frezzi furono giustificate come “suicidi”. Per evitare che lo scandalo aumentasse e la voce si spargesse ulteriormente, nel 1577 le autorità ecclesiastiche giunsero alla decisione di chiudere definitivamente il monastero, costringendo alcune sopravvissute alle indagini a bere la cicuta pur di tacere per sempre. Solo Giulia Caracciolo, indomita fino alla fine, decise di sottrarsi a tale condanna e di uccidersi con le sue stesse mani, conficcandosi un pugnale nel petto.


Senza indugiare ancora in una narrazione quasi da “giornale scandalistico”, va detto che queste vicende ci presentano un quadro assai cupo della Storia della Penisola. Parliamo infatti di un periodo in cui alle giovani donne veniva impedito di decidere del loro destino, e il loro stesso corpo, nonché il semplice fatto di essere donne, a causa dell’Inquisizione, era visto come sinonimo di stregoneria e una tentazione da eliminare. I fatti avvenuti nel Monastero di Sant’Arcangelo non sono quindi così diversi da quelli successi in tante altre strutture ecclesiastiche, dove venivano addirittura seppelliti i feti di gravidanze indesiderate avvenute tra quelle mura. La storia del monastero in questione è tuttavia rimasta in alcune testimonianze celebri, tra cui quelle di Benedetto Croce e addirittura Stendhal, alimentando ancor di più l’aura leggendaria del posto.


A proposito di leggende infatti, si vocifera che la struttura, ormai in stato di abbandono, ancora oggi sia “abitata” da apparizioni spettrali, urla e lamenti di dolore che talvolta tagliano il buio e il silenzio dei vicoli. Un fantasma in particolare aleggerebbe ancora: quello della bella e infelice Agata, che avendo sempre considerato quel monastero e la clausura stessa come una prigione, uscirebbe allo scoperto di tanto in tanto per riprendersi la libertà tanto negatale da viva, come monito affinché certe cose e certi modi di considerare la figura femminile non si ripetano ancora.

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