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Il cimitero delle Fontanelle


Cimitero delle Fontanelle

Situato al centro di Napoli, nel cuore del rione Sanità, il Cimitero delle fontanelle è uno dei luoghi più ricchi di misticismo e folklore del capoluogo campano.


Il luogo, destinato al culto delle anime del Purgatorio è stato per quasi un secolo, a cavallo tra il 1800 e il 1900, meta di un culto quasi pagano, che portava le donne del popolo ad adottare un teschio fra i tanti presenti affinché questi concedesse loro una grazia.


Trattasi di un'antica cava di tufo utilizzata a partire dal XVII secolo per raccogliere i resti dei morti durante le grandi epidemie di peste e colera. In particolare qui furono seppellite le vittime dell'epidemia di peste del 1656 e di quella di colera del 1836.


Leggenda vuole che all'interno del cimitero siano conservati i resti di circa otto milioni di persone, e la cosa non è improbabile tenuto conto che sotto le fondamenta c'è una quantità di ossa davvero innumerevole.


Nel 1872 il luogo venne aperto al culto grazie all'opera di Gaetano Barbati, che dispose le ossa di circa 40000 cadaveri nella attuale disposizione "esposta" al pubblico.


Tutti morti seppelliti nel cimitero non hanno nome, fatta eccezione per le ossa riposte in una teca nella navata di sinistra. Lì infatti possiamo trovare i resti di Filippo Carafa, conte di Cerreto, e della moglie Margherita.


Nonostante l'anonimato, però, moltissimi teschi sono stati gelosamente messi da parte e custoditi in teche di ogni materiale. Questo a indicare che il teschio era stato "adottato" e che quindi nessun altro potesse chiedergli la grazia.


Sono tante le leggende popolari sui teschi del cimitero.


Uno è quello de "la capa che suda", un teschio che in condizioni particolari pare trasudi, lasciando umide le mani di chi lo tocca.


La leggenda più famosa è però quella del "Capitano", un teschio praticamente considerato la star del luogo.


L'origine del teschio è assolutamente misteriosa e la sua figura è avvolta da storie tramandate negli anni.


La più celebre è quella di una coppia di fidanzati, promessi sposi. La ragazza era devotissima a questo teschio, e passava più tempo in sua adorazione che con il suo fidanzato. Questi arrivò al punto di ingelosirsi del teschio e scese al cimitero dove profanò la "capuzzella" infilandole un bastoncino di legno nell'orbita di un occhio.


Il giorno delle nozze arrivò tra gli ospiti un uomo sconosciuto vestito da carabiniere, che avvicinandosi all'altare si spogliò e mostro il proprio corpo scheletrico. La cosa spaventò a tal punto sposi e invitati che tutti morirono di paura.


Storia simile parla di un donnaiolo di cattiva reputazione che era solito recarsi al cimitero per fornicare le ragazze che conquistava. Il Capitano un giorno lo redarguì, e il giovane si fece beffe di lui invitandolo a un suo eventuale matrimonio. Quando questo giorno arrivò, il morto offeso interruppe il ricevimento e prendendo per mano gli sposi li bruciò a morte.


Questa tematica, ovvero il convitato di pietra che compare il giorno delle nozze alle quali è stato invitato, si riscontra in alcune leggende islandesi e bretoni. Queste storie hanno tutte in comune l'offesa a un morto e la negazione dell'aldilà da parte del protagonista.

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